domenica 24 giugno 2018

Trent'anni dopo - Memoria di Hans Urs von Balthasar, il teologo del dramma di Dio

Lipsia. Trent'anni fa, il 26 giungo del 1988, moriva, inaspettatamente per gli altri, non per lui, tre giorni prima di ricevere il berretto cardinalizio, il mio primo e grande maestro, Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Alla Santa Messa, in occasione del suo funerale, celebrata dal cardinal Joseph Ratzinger, arrivai in ritardo perché il Gottardo era chiuso. L'omelia del cardinal Ratzinger la lessi dopo, forse addirittura mesi dopo. Quello che mi ricordo di quel addio dal grande maestro a Lucerna sono le lacrime di Cornelia Capol, segretaria, collaboratrice e per anni responsabile del ramo femminile della Comunità di san Giovanni, mia amica in terra ed ora in cielo, e che tanti anni dopo, ho visto giacere nel suo letto a Basilea (è morta l' 1.10.14, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la piccola Teresa) nella camera che da quella di lavoro era diventata anche quella mortuaria. Le sue lacrime di allora rappresentavano il mio stato d'animo quando sentii della sua morte! 

In una delle lettere che mi mandò (gli originali si trovano nella Casa Balthasar a Roma e copie nell'archivio di Basilea) Balthasar mi diceva che non si deve ridurre la sua opera all'estetica - i primi sette volumi della trilogia che in italiano portano il titolo di "Gloria" (Herrlichkeit). Per quanto sia importante la percezione della forma, la percezione dell'unitaria figura di Cristo e per quanto sia importante vederla come verità del cielo e della terra (la terza parte della trilogia si chiama "Teologica"), il cuore della trilogia è e rimane la "teodrammatica" (seconda parte della trilogia). Secondo me senza l'incontro con Adrienne von Speyr (1902-1967) la "Teodrammatica" non sarebbe mai stata scritta: questo incontro, del teologo con la mistica e medico svizzera, è a sua volta il cuore della vita di Balthasar. 

La vita del cristiano e dei cristiani è e rimane un dramma! Cosa significa questo? Questo non significa che in questo dramma non vi siano integrati anche elementi della "commedia" umana - come Adrienne, anche Balthasar aveva un senso notevole dell'umorismo e della leggerezza (non è un caso che il suo autore preferito sia Mozart e non Beethoven). Nelle commedie trionfa sempre un "destino favorevole" e grazie a Dio molti momenti della nostra vita, sono pieni di questi momenti favorevoli e di grazia, ma se non ci chiudiamo nel nostra percezione solo privata della vita (che qualora non ci accada una tragedia famigliare potrebbe, nella nostra regione del mondo, svolgersi con una certa tranquillità), se apriamo cuore e sguardo a ciò che accade nel mondo, vediamo immediatamente che non la "commedia", ma il "dramma" ha il sopravvento, un dramma in cui spesso non siamo confrontati con un "destino favorevole". E se vogliamo trovare una cifra interpretativa di questo mondo, piuttosto dovremmo pensare ad una "tragedia" o a tante tragedie. Il dramma "unico" di Cristo (cfr. Teodrammatica, II, 1, 69 dell'edizione tedesca) nella sua forma paradossale è realmente tragedia fino alla discesa nell'inferno più brutale e senza forma, ma anche realizzazione della salvezza. L'uomo non viene lasciato da solo con il suo destino da accettare con dignità o in cui soccombere nella mancanza di senso assoluto, nel nichilismo più spietato, ma viene coinvolto con l'impegno di Dio con il mondo, che è un impegno di gratuità e di amore. 

Come teologo Balthasar si è confrontato con tutte le dimensioni teologiche del suo tempo. La grandezza della sua opera consiste nel sapere integrare tutto ciò che è degno di essere integrato. Per fare alcuni esempi: la sua teologia si è confrontata con la dimensione politica, dialogica e futuristica delle teologie del tempo senza essere imprigionata in un sistema che come gnosi pretenderebbe di comprendere tutto, mentre l'azione nel palcoscenico del mondo procede e solo alla fine sapremo quale era il disegno di Dio con esso. Balthasar vede anche come una tentazione il tentativo di perfezionare la propria teologia così che generazioni future non abbiano più nella da fare. Come insiste Julián Carrón nella "bellezza disarmata" noi uomini siamo figli del nostro tempo. "Ogni membro di un popolo è introdotto nel reale attraverso la cultura del suo popolo, la sua tradizione, e da essa egli è storicamente definito" (La bellezza disarmata, 158). Voler supera questo "storicamente definito" con una "gnosi sistematica e perfetta" è una tentazione. 

Per quanto riguarda la "politica", per parlare il linguaggio di Massimo Borghesi, troviamo in Balthasar una reale "critica della teologia politica". Balthasar insite sulla dimensione personale dell'incontro con Cristo, ma non ha mai pensato questo incontro come avulso dalla storia e dalla sua rilevanza politica. Mentre però la "teologia politica" è una forma di gnosi sistematica, la "teologia della politica" di Balthasar fa vedere che l'annuncio cristiano è e rimane "lievito" per la storia del mondo e non una soluzione sistemica. Ciò non vuole dire che non si possa lottare politicamente per superare non solo le conseguenze degli errori strutturali di una certa situazione, ma gli errori stessi, ma il cristiano non comprenderà    mai il proprio impegno per il mondo, all'interno dell'impegno di Dio per il mondo, in forza della categoria del successo. Il successo non è mai il criterio ultimo dell'agire del cristiano (cfr. TD II, 63 dell'edizione tedesca). Nel suo impegno Dio vuole salvare tutti (1 Tim 2,4) - questa salvezza per tutti è da intendere però nella modalità della speranza e non di una gnosi -  ma noi non sappiamo come, quello che noi possiamo fare è "esporci" così che la nostra azione stessa venga percepita nel mondo anche dai nostri avversari e nemici (i "Contadini di Peguy" in Facebook sono una forma di questa esposizione).  Senza questa esposizione non avremmo un dramma, ma piuttosto una commedia o un racconto epico in cui alla fine è chiaro chi sia il vincitore. L'agire del cristiano non è  un "ascetico, filosofico o mistico renderci immuni al cospetto del mondo, perché ciò sarebbe la morte della dimensione drammatica" (ibidem, 64).

Il cristiano si impegna in un autentico dialogo con tutti - dialogo significa che uno è disposto a farsi colpire dagli argomenti degli altri, dell'altro e che questo incontro con l'altro  è sempre più importante della fedeltà al proprio punto di vista "identitario"  - e questo vale oggi anche e soprattuto per l'Islam in modo forse più radicale di quanto Balthasar steso pensasse. Balthasar ha conosciuto solo una delle grande figure del dialogo con l'Islam: Charles de Jesus; grandi uomini di questo dialogo come il padre Christian de Charge o il Padre Paolo Dall'Oglio vivono la loro missione ecclesiale dopo la morte di Balthasar.   
Il motivo di questo dialogo non è il bisogno di armonia con il mondo, ma realmente teologico: il Dio trinitario è in e per sé "dialogo". Certo dialogo ex Patre e non confusione. Per cui la Chiesa ha un dovere di insegnamento e la sua "dogmatica" ha una dimensione di "indicatore stradale", ma come dice Balthasar "l'indicatore stradale ci pone solo sulla retta via, ma non la sostituisce, come non sostituisce il cammino su questa via stessa" (67).

L'obbedienza del Figlio, il grande tema ignaziano e giovanneo di Balthasar, non è il contrario della dimensione dialogica: nella profonda intimità tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo, vi è un medesimo uso delle parole libertà ed obbedienza. Nessuno ha tolto la vita al Figlio, Egli l'ha donata gratuitamente. 

Noi siamo in cammino verso un futuro che rimane aperto. Anche se la rivelazione di Dio con Cristo ha trovato la sua ultima figura, lo Spirito Santo ci rivelerà dimensioni che noi non possiamo anticipare con nessuna forma di gnosi. La speranza cristiana non è un principio filosofico (Ernst Bloch), ma attesa di Colui che sta arrivando e che arriva non solo alla fine della storia, ma in mezzo ad essa, anche nel cuore del nostro cammino personale. 

Ecco qualche pensiero per far memoria di questo grande uomo che non può essere inscatolato in nessuna categoria del tipo: conservatore, tradizionalista, progressista... Nelle lacrime di Cornelia avevo visto la tristezza che si prova se un uomo del genere se ne va, ma negli anni successivi, nel volto sereno di Cornelia e di altri amici della Comunità di san Giovanni, in modo particolare del mio amico americano Adrian Walker, e nella sua grande opera teologica vedo che Balthasar non è morto, ma dal cielo sorride nel vedere noi e la figura di questo grande Papa che forse più di tutti i suoi predecessori è una reale figura "teodrammatica" (1). Una figura che sta prendendo sul serio il nostro tempo e l'impegno ancora attuale di Cristo in esso. Un tempo "che è palesemente caratterizzato dalla possibilità di imponenti migrazioni e incontri tra popoli diversi, in una situazione nuova per la storia dell'umanità" (Julián Carrón), un tempo in cui è possibile però incontrare Cristo in quella "contemporaneità" di cui parla Kierkegaard (cfr. Td, 66) e che è il tema degli Esercizi della fraternità di Cl in quest'anno: la famigliarità con Colui che è vivo e viene! 

PS Dedico questo mio piccolo scritto a don Julián Carrón, che negli ultimi tempi ha ripreso spesso e con grande profondità il teologo svizzero. 

(1) Un esemplificazione cinematografica di ciò che intendo con "papa teodrammatico" è il film di Wim Wenders, appena uscito nei cinema tedeschi. 

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