martedì 13 febbraio 2018

Nel giorno della memoria delle foibe, alcuni ricordi di mio padre per spiegare l'oggi.

Nel giorno della memoria delle foibe, alcuni ricordi di mio padre per spiegare l'oggi. 

Foto di Roberto Graziotto, Estate 2017, Parenzo Istria

Casale Monferrato. Caro (...),
sono arrivato ieri sera in Italia per visitare i miei anziani genitori per qualche giorno. Devo dire che seguendo in Facebook, anche se non con regolarità, per motivi di lavoro, alcuni dibattiti che vengono fatti su eventi anche tragici che accadano in Italia e in genere su questioni politiche riguardanti i migranti, anche da parte di cattolici, che possiamo chiamare „tradizionalisti“ o „puri“, ero molto preoccupato. Mi sembra che il dibattito sia „incattivito“. Anche se alcuni distinguo sono necessari (è un azione come quella della vendetta per la morte di Pamela causa di un certo razzismo diffuso o lo genera?) mi sembra che tante dichiarazioni di politici e in modo particolare appunto le discussioni in rete, presentino un Italia, in questo periodo pre elettorale, che perlomeno soffra di un grande „egoismo collettivo“, se non di forme esplicitamente razziste o fasciste. Ma non è questo il motivo per cui le scrivo.
Parlando ieri sera a cena con i miei due anziani genitori ho avuto modo di respirare aria pura e di godere di un giudizio, da parte di entrambi, sano e che mi da speranza. 
Mio padre è stato alla fine della seconda guerra mondiale profugo dalla bellissima terra rossa dell’Istria qui in Piemonte, che nel frattempo era stata occupata dai partigiani di Tito con le loro foibe. Mio padre è nato in Istria nel 1935 ed ha considerato questa terra da sempre come la sua patria. Verso la metà degli anni sessanta, quando Tito era ancora al potere, ma più moderato, dopo lo scontro con Stalin, abbiamo passato quasi un mese estivo (io come bambino a volte anche due mesi) in quella terra ed ora mio padre ha la doppia cittadinanza, croata e italiana.
Ieri sera a cena mi diceva: quando sento parlare di rispedire i migranti in patria, penso che io sono stato uno di quei migranti e che nella mia patria c’erano le foibe e che non ci sono potuto tornare, se non ben più tardi. Penso che abbiamo vissuto di un’accoglienza attiva qui a Casale anche da parte di politici che si sono occupati di noi. Uno degli episodi che fanno parte delle storie di famiglie è quella di un politico che in visita a Casale Monferrato ascoltando il racconto di mio padre, allora ancora ragazzo, che lamentava la mancanza di un posto di lavoro per il suo papà, anche se il sindaco diceva che non c’erano problemi gravi in città. Dopo quel incontro mio nonno ebbe la possibilità di lavorare come autista di un camion della nettezza urbana. 
La vita non è stata subito rosea. Dapprima la mia famiglia ha vissuto in una caserma di militari vuota. Venti o trenta metrI quadrati, senza pareti, tutti insieme. Non erano più in 28 come nella casa contadina in Istria guidata dai miei bisnonni Gaetano e Matilde, perché alcuni figli erano migrati altrove. Ma erano pur sempre in un grande numero rispetto alle piccole famiglie odierne. Mia nonna veniva a casa con le braccia ferite per avere trovato dei rovi da bruciare. Una volta dovrò raccontare bene tutta questa storia. Qui, nello stesso punto dove si trovava la caserma, dove sto scrivendo questa lettera, si trova ora la cosa di mio padre che negli anni ottanta aveva aperto una ditta tessile.
Potrei raccontare molto di più, tante scene commoventi, di mancanza di cibo (anche se mio padre dice che non hanno mai veramente sofferto la fama), ma mi fermo qui. Con la gioia nel cuore che vi siano persone che hanno un senso reale di ciò che è accaduto a loro e lo sanno paragonare con ciò sta accadendo ora a tanti fratelli uomini.  
Suo, Roberto Graziotto  

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